Il modello di accoglienza diffusa toscano ha funzionato, anche stavolta. Un sistema rodato, utilizzato la prima volta tra il 2011 e il 2012, quando la Toscana aprì le braccia, in due fasi, a mille e ottocento profughi e migranti: i primi cinquecento arrivati dalla Tunisia dopo la prima “Primavera araba”, altri mille e trecento – africani di tutto il continente – in fuga dalla Libia.
Un sistema riproposto tra il 2014 e 2015, quando la Toscana ha dato ospitalità a quasi seimilacinquecento richiedenti asilo. Lo ha fatto con l’aiuto del volontariato e dei Comuni e con l’aiuto anche dei singoli cittadini. Con cuore e fantasia. La Regione, per essere pronta a tutto, si era premunita anche per l’acquisto di strutture mobili provvisorie, quelle che in genere usa la Protezione civile in caso di calamità. Ma non sono servite.
Alla fine sono state sufficienti case ed appartamenti sfitti, locali di associazioni o alberghi vuoti. I profughi sono stati distribuiti in più di cinquecento diverse strutture, con pochi ospiti per ciascuna (spesso meno di venti) e questo è stato sicuramente un punto di forza che ha favorito, accanto a progetti intelligenti, l’integrazione.
Chi è stato accolto è stato infatti coinvolto in attività di volontariato. Si sono presi cura di strade e giardini, di argini da ripulire o aule di scuole da ridipingere. Il rischio era farne manovolanza a costo zero, ma non è successo perché con loro, guanti e sacchi alla mano, c’erano anche cittadini italiani. Volontari pure loro. Nel frattempo, hanno imparato l’italiano, a volte pure una lavoro. Hanno conosciuto la cultura di chi li ospitava e hanno provato a raccontare la loro, magari seduti insieme, italiani e stranieri, a tavola.
Oltre seimilacinquecento richiedenti asilo accolti in Toscana in quasi due anni vuol dire un ospite ogni 600 residenti. Seimilacinquecento stranieri (temporanei) che si aggiungono ai 395 mila che già in Toscana abitano e lavorano, i più numerosi rumeni, albanesi, cinesi e marocchini. Pensati in termini di accoglienza diffusa, sono numeri sostenibili.
Con gli sbarchi che a primavera probabilmente riprenderanno a farsi più frequenti, sarà comunque necessario fare un’ulteriore passo in avanti.
E’ per l’appunto la “fase B” illustrata a gestori e sindaci, riuniti e incontrati nel pomeriggio a Sant’Apollonia a Firenze per una giornata di approfondimento e per fare il punto sull’accoglienza.
Del resto – e non va dimenticato – chi attraversa il mare fugge dalla guerra e dalle persecuzioni, fugge dalle guerre civili, che nel mondo sono tornate a crescere negli ultimi otto anni. Non c’è solo la fame, che spinge ad attraversare deserti o salire su barconi malconci e zeppi di uomini e donne sfidando il mare. Se le guerre e le persecuzioni non finiranno, anche fughe e sbarchi proseguiranno. E non c’è solo la Siria. Dall’Africa all’Asia, dalla Nigeria di Boko Haram all’Afghanistan passando per il Medio Oriente e il sud del Sudan (ma anche l’Ucraina) erano undici i conflitti interni aperti nel 2014: meno dei ventisei del 1992, ma di più dei quattro del 2007, cresciuti da allora tra volte tanto. Nove di queste guerre civili, laiche o religiose, pseudo tribali o imperialiste, riversa la maggior parte dei profughi verso l’Europa.
I richiedenti asilo accolti dal 2014 a dicembre 2015 in Toscana, provincia per provincia
- Arezzo 652;
- Firenze 1823;
- Grosseto 374;
- Livorno 730;
- Lucca 617;
- Massa Carrara 299;
- Pisa 595;
- Pistoia 471;
- Prato 444;
- Siena 582.
- Totale 6587