Dopo aver dato la parola a Sabrina Gaglianone, presidente del Centro antiviolenza Olympia de Gouges e don Roberto Nelli, oggi, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, lo psicoterapeuta Alessio Finetti ci offre la sua attenta analisi sul femminicidio.
“Non mi è facile parlare asetticamente delle aberrazioni degli esseri umani –afferma Alessio Finetti-. E’ sempre entrare in una dimensione dalla quale cerco una distanza, una distanza umana. Laddove c’è violenza, c’è sempre malattia. Quest’ultimo pensiero non gode di grande diffusione, giacché anche nel nostro ordinamento penale si fa esclusivamente una distinzione tra capacità o incapacità di intendere e di volere. Si presuppone cioè che la malattia sia solo nell’incapacità di intendere e volere, mentre colui che esercita violenza nel pieno delle proprie facoltà mentali non sia malato.
C’è un’idea precisa e cioè che il delitto, l’assassinio non è di per sé malattia mentale, anzi fa parte della natura umana. C’è una vecchia idea non vecchia, ancora attuale, che l’uomo è per natura violento, assassino e distruttore. Idea che nasce da questa mostruosa fusione tra il dogma del peccato originale per cui l’uomo nasce cattivo perché siamo tutti figli di Caino e l’idea greca che sotto la ragione, cioè il pensiero della veglia e della coscienza, c’è l’animale, la bestia“.
“Una violenza fisica presuppone sempre un’alterazione del pensiero – prosegue Finetti– . La violenza è prima nel pensiero e poi si fa azione fisica. Per eliminare fisicamente una persona occorre che prima sia stata eliminata ogni possibilità di entrare in contatto con il contenuto umano di quella stessa persona. Cioè prima l’annullo nel mio pensiero che antecede la relazione fisica. Nel pensiero malato, l’altro non c’è, non è presente. Per i nazisti i detenuti dei campi di concentramento erano numeri, erano realtà subumane. L’alterazione ha sempre a che fare con il rapporto con l’altro umano, non con il saper fare le cose. La mente umana ha a che fare con il rapporto con la realtà materiale e con il rapporto con la realtà umana. La malattia mentale ha a che fare sempre e soltanto con la seconda. Quindi il fatto di essere anche un ottimo professionista non ha niente a che vedere con l’assoluta incapacità di stare in rapporto con la realtà umana. Quindi potrei essere un ottimo professionista, ma malato.
Molti dicono che non è malattia mentale. Io non sono d’accordo, è malattia mentale. Si può dire che non è malattia mentale fino a quando per malattia mentale si intende il disturbo della coscienza e del linguaggio articolato.
Il femminicidio ha a che fare con questo e non solo. Quindi gli uomini che usano violenza sulle donne, al pari che se la usassero anche su altri uomini, sono innanzitutto dei malati.
Lo psichiatra Massimo Fagioli ha scoperto che la visione dell’essere umano diverso, in questo caso la donna, fa riecheggiare, fa muovere dentro memorie confuse, indefinite riconducibili al primo anno di vita, quando ognuno di noi era diverso da quello che è adesso. Non parlava, non camminava, non aveva coscienza e linguaggio articolato… era tutto un mondo e un pensiero di immagini in cui si svolge il primo rapporto, assolutamente vitale, con una donna, in genere la madre.
Poi tutto questo si perde, si dimentica e così quando ci si innamora di una donna, cioè per il diverso da sé e poi avviene quella triste, ma anche molto realistica dal momento che la vita è lunga, realtà della separazione, c’è sempre un dramma, un lutto.
Nella persona ‘sana’ questo dovrebbe produrre al più tanta tristezza, magari la chiamata in soccorso degli amici che ci consolano e poi l’elaborazione della separazione. Nei casi di femminicidio tutto questo non avviene, la separazione scatena una violenza omicida.
Questi assassini, magari coscientemente uguali agli altri, e dunque per i giudici capaci di intendere e di volere, sono gravemente ammalati nell’inconscio e di fronte a questa separazione, alla perdita di questo primo anno di vita, impazziscono perché quella donna gli rappresenta il bello del primo anno, dell’infanzia.
La perde? Diventa totalmente pazzo perché la sua realtà non ha fantasia, non ha immagini. La donna perduta, diventa la cattiva, la madre persecutrice. Quella che effettivamente può essere stata quando era bambino, magari una madre anaffettiva. E quindi uccide, perché la causa della sua pazzia diventa questa donna, anche se in verità non c’entra niente, perché in origine è stata la madre a farlo impazzire.
Quando invece una persona è sana, di fronte alla separazione rielabora e si mette a fare una realizzazione narcisistica dell’io con intelligenza e fantasia.
Le donne si possono salvare dai maschi violenti ritrovando quella sensibilità che fa vedere quello che c’è oltre un buon comportamento, come anche oltre a delle parole d’amore.
Bisogna andare oltre quel discorso falso e ipocrita che per esempio ti fa dire ‘io amo tanto le donne’ quando non è vero per niente. Così in una dichiarazione d’amore e in un comportamento apparentemente di corteggiamento a volte c’è la violenza. Sembra che un uomo corteggi ma in realtà si prepara a uccidere la donna, e le donne dovrebbero capirlo. C’è questo mondo nascosto a fronte di un comportamento sociale magari ineccepibile che va compreso, non si può pensare che siamo tutti buoni. Bisogna imparare che sotto c’è un inconscio, una realtà opposta al comportamento”.
“Il problema è anche culturale: la donna è sempre stata considerata un essere inferiore, difettivo – conclude Finetti– .
Questa è la grande tragedia storica, alle donne non è stato mai permesso di essere, non è stato mai permesso di essere umani, non è stato mai permesso di realizzare l’intelligenza, salvo nell’ultimo mezzo secolo nel quale si è comunque accettata al massimo un’intelligenza produttiva. Ma la fantasia, indispensabile per orientarsi nei rapporti interumani, non è stata mai permessa loro.
L’insana convinzione di una identità umana come ragione, come la storia del peccato originale ha escluso la donna dalla categoria degli esseri umani. La donna ha conquistato dei diritti civili ma di fatto nella nostra cultura la donna non esiste“.