La Regione Toscana ha impugnato davanti alla Corte costituzionale la norma che introduce nuovi vincoli sui piani dei fabbisogni triennali del personale, inserita nel cosiddetto “decreto liste di attesa“.
“L’avevamo annunciato – spiegano il presidente Eugenio Giani e l’assessore regionale al diritto alla salute Simone Bezzini – e l’atto è stato notificato nei giorni scorsi alla Consulta. La Toscana non ci sta”.
Il ricorso
Al centro del ricorso c’è l’articolo 5 comma due, che prevede che i piani dei fabbisogni triennali del personale delle Regioni debbano essere approvati con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.
“Si tratta di una norma che viola il titolo V e le competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni– commentano Giani e Bezzini -. Lo stesso Governo che promuove riforme come l’autonomia differenziata che contribuiscono a spaccare il Paese aumentandone le disuguaglianze, sulla sanità impone procedure centralizzate che rendono ancora più critica la gestione del sistema sanitario regionale”.
Nella pratica, secondo la nuova legge, il Ministero dovrebbe approvare un decreto per ciascun piano regionale o, peggio, un decreto unico dopo che sono stati raccolti tutti e venti piani di fabbisogno del personale.
“E’ un cambiamento sostanziale rispetto al sistema attuale, che produrrà un eccessivo appesantimento burocratico e ritardi – spiegano presidente ed assessore -, aggravando l’operatività delle aziende sanitarie ed ospedaliere e senza nessun effetto sulle liste d’attesa”.
“Se l’intenzione del Governo era abbattere le liste d’attesa – sottolineano –, con questo decreto siamo ben distanti dall’obiettivo. Ricordiamo che il Governo non ha previsto alcun stanziamento di risorse per per aumentare il volume delle prestazioni, e dunque contenere davvero le liste d’attesa. Non c’è alcuna risorsa in più per assunzioni o produttività aggiuntiva né per l’acquisto di prestazioni, così come è del tutto assente una strategia sull’appropriatezza delle prescrizioni”.
“E’ impossibile – concludono – credere che possa produrre benefici per le persone e per il sistema sanitario pubblico. Noi continueremo a difendere la sanità pubblica con tutti gli strumenti a nostra disposizione”.