Abbiamo ricevuto e pubblichiamo integralmente un comunicato di Andrea Santini, membro dell’assemblea nazionale del Pd:
“A seguito di un esposto nei mie confronti, presentato a firma congiunta dal presidente della direzione territoriale Franco Ulivieri e dal presidente della commissione di garanzia territoriale Roberto Daviddi, ho ricevuto un avviso da parte dell’ organismo provinciale di garanzia, in cui mi viene comunicato l’avvio di un procedimento disciplinare.
Ritengo tali osservazioni totalmente prive di ogni fondamento ed offensive sia della mia dignità di dirigente nazionale del Pd, ma anche come persona.
Senza fare polemica, ma per un fatto di trasparenza, ritengo opportuno spiegare quali sono i motivi che mi hanno spinto a dichiarare in direzione provinciale di fare voto disgiunto e pertanto di non votare Rossi: purtroppo in Toscana il futuro non dice nulla di buono, parla il linguaggio del Governo Renzi che ci porterà, se nulla cambia, una sanità pubblica senza prospettive, una scuola pubblica ancora troppo povera, poco lavoro e sempre precario, la rinuncia di fatto alla lotta alla povertà, un ambiente sempre in contrasto con lo sviluppo e istituzioni locali abbandonate a se stesse.
Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che il Pd sia la mia casa naturale, lo storico approdo delle diverse esperienze e culture del centrosinistra italiano e allora mi domando: se non posso parlare liberamente nella sede del mio partito, dove posso farlo?
Mi domando anche se sia più grave fare un’affermazione dentro un organismo di partito, giustificando i motivi, o non votare la fiducia al Governo?
Mi viene da pensare che dentro il mio partito non è ammesso il dissenso ed il mio è un dissenso politico, in quanto Enrico Rossi non ha ottenuto nessuna legittimità politica, nè dall’assemblea regionale nè dagli iscritti ed elettori del Pd, così come prevede lo statuto nazionale.
Quindi, la sua riconferma è stata solo una ratifica da parte della segreteria e della direzione regionale.
Inoltre, nel mio intervento ho affermato che nella stesura del regolamento delle candidature la direzione regionale non aveva tenuto conto di un ordine del giorno votato all’unanimità dall’assemblea regionale a gennaio scorso, che doveva prevedere ‘modalità di ampia consultazione democratica per la selezione dei candidati’.
Ho sottolineato che ai 4 candidati oggetto della discussione si poteva arrivare anche attraverso un’ampia consultazione, coinvolgendo i circoli, anziché attraverso la raccolta delle firme degli iscritti, ma anche che sui 4 nominativi proposti non avevo nulla da eccepire.
Ho anche ricordato che mancava il numero legale richiesto dal regolamento, ma che comunque non avrei sollevato nessuna obiezione.
Segnalo che durante il mio intervento ed anche alla fine della direzione, è stato rivolto ‘l’invito’ da parte del presidente Franco Ulivieri, a me e a tutti gli appartenenti all’area Civati, ad uscire dal Pd.
Questa è la realtà dei fatti, ma purtroppo non posso tollerare e vedere il mio partito trasformarsi geneticamente, pertanto non presenterò nessuna memoria difensiva come richiestomi, anche perché avendo ricoperto in passato il ruolo di tesoriere comunale, non ritengo accettabile il fatto di essere giudicato da chi è allo stesso tempo arbitro e giudice e presiede una commissione di garanzia nominata in contrasto a quanto stabilito dallo statuto, che dice: ‘l’incarico di componente di una commissione di garanzia è incompatibile con l’appartenenza a qualunque organo del Partito democratico”.
Sottolineo che nella commissione di garanzia provinciale ben 8 membri su 9 ricoprono altri incarichi nei vari organi territoriali del partito e che a tale riguardo lo scorso anno era stato presentato su questo tema un esposto alla commissione di garanzia regionale da parte di un iscritto, ma che ad oggi non ha ancora ricevuto risposta.
Questo purtroppo è il grado di democrazia e di rispetto delle regole che vige all’interno del Pd ad ogni livello, ma per me la coerenza e certi principi sono ancora validi e pertanto non posso sopportare l’ipocrisia e la doppia morale di certe persone, che nel loro percorso politico, pur di mantenere il potere, sono sempre salite sul carro dei vincitori”.