Il prossimo dicembre la Cgil grossetana celebrerà la propria fase congressuale.
In vista di questo appuntamento, la segretaria della camera del lavoro Monica Pagni svolge una riflessione sul tema dello sviluppo economico locale, in particolar modo guardando a giovani e immigrati:
«Dalle scelte fatte finora dal nuovo Governo emergono due orientamenti chiari: da una parte restringendo l’ambito di applicazione del reddito di cittadinanza (Rdc) si pensa di “costringere” le persone ad accettare qualunque condizione di lavoro, ma il problema è che il lavoro non c’è: quello buono e regolare meno che mai. Dall’altra si continuano ad additare gli immigrati per motivi economici e umanitari come un problema, ma non si fa niente di concreto per aprire canali regolari d’ingresso in Italia. Nonostante sia oramai evidente a tutti che la crisi demografica, fra le altre cose, crea problemi enormi alle aziende di diversi settori per trovare lavoratori da inserire nei propri cicli produttivi.
C’è quindi un problema culturale serio rispetto all’analisi della direzione in cui sta andando la nostra società, e rispetto alle scelte da fare per invertire una tendenza al declino che sembra inarrestabile.
Il tema del declino demografico, in particolare, viene sistematicamente sottovalutato nelle sue conseguenze. Con la generazione dei baby boomers che per la prima volta consegnerà ai propri figli un futuro peggiore di quello che hanno garantito chi li ha precedenti.
Fra l’altro, chi oggi ha un figlio unico, gli trasmette un’aspettativa rispetto al lavoro che dovrà fare che esclude una vasta platea di professioni non solo più che dignitose, ma anche remunerative sul piano economico. Che però, a seguito del mutato paradigma culturale, hanno perso reputazione nell’opinione delle famiglie italiane. Non solo. In parallelo verifichiamo che il 10-12% degli studenti figli di immigrati presenti nelle nostre scuole, che ci si ostina a tenere nel limbo dei “non Italiani” per motivi ideologici, sono quelli più motivati a studiare perché vivono l’istruzione come occasione per salire sull’ascensore sociale. E concepiscono il lavoro come fattore di emancipazione. D’altra parte, se oggi in Italia non ci fossero gli stranieri si bloccherebbero interi comparti produttivi: dall’agricoltura all’edilizia, dalla logistica alla manifattura, dalla sanità all’assistenza alla persona.
Allo stesso tempo in provincia di Grosseto abbiamo la percentuale più elevata della Toscana di ragazze e ragazzi cosiddetti Neet, che non studiano, non fanno formazione professionale né lavorano, ma anche la più bassa percentuale regionale di laureati. Con il paradosso che chi una laurea la prende, in modo particolare in indirizzi di studio tecnico scientifici, ha la possibilità di lavorare e di costruirsi un futuro solo lontano da questo territorio, che da almeno vent’anni a questa parte sta inseguendo un modello di sviluppo basato sul lavoro povero, poco qualificato e con un basso valore aggiunto. Continuare a puntare sugli stage retribuiti a 500 euro al mese per far ruotare una manovalanza con basse competenze, in questo senso, è una scelta suicida. Che oltretutto ha l’effetto psicologico di frustrare i giovani, allontanandoli ulteriormente dal mondo del lavoro. Per andare ad ingrossare le file dei Neet.
Da qui la doppia esigenza di agire per imprimere un cambio di marcia. Battendosi per avere più infrastrutture, ma rigettando la visione tradizionale che considera solo quelle viarie, e favorendo lo sviluppo di attività manifatturiere con caratteristiche innovative. Allo stesso tempo, è necessario anche cambiare approccio nei confronti delle diverse comunità straniere che oramai vivono stabilmente in provincia di Grosseto. Coinvolgendole in modo strutturato e mettendole in condizione di dare il loro apporto migliore alla crescita complessiva del nostro tessuto sociale.
Per fare un esempio concreto, richiamo il progetto Amiata unico elaborato dalla Cgil regionale di Grosseto e Siena, che si è dato l’obiettivo di rimuovere il confine amministrativo innaturale che divide in due la montagna per costruire un modello di sviluppo che vada oltre le attività tradizionali di turismo e agricoltura.
A Pian Castagnaio e Abbadia San Salvatore, sul versante senese, dove si è sviluppato un distretto della pelletteria e un tessuto produttivo manifatturiero, il lavoro buono non manca, gli stranieri sono perfettamente integrati, la demografia è in controtendenza e ci sono più bambini, i costi delle abitazioni sono mediamente più alti che nel resto della montagna. Stiamo parlando di un’enclave che fino a qualche anno fa faceva parte a pieno titolo dell’area marginale è a rischio spopolamento del Monte Amiata. Ma che oggi ha ritrovato un proprio dinamismo e può guardare al futuro con maggiore fiducia.
Per questo dico che la provincia di Grosseto deve decidere oggi se vuole diventare un “buen retiro” per facoltosi pensionati, oppure se avere l’ambizione d’incarnare un modello di sviluppo che coniughi innovazione, manifattura e qualità della vita».