“La Camera di Commercio ha garantito al pubblico la piena operatività dei servizi essenziali anche nei giorni di lockdown grazie ad un livello di digitalizzazione che ci vede all’avanguardia nel panorama della PA. e che ci ha consentito di adottare un modello efficiente di smartworking. Tra le molteplici attività svolte, abbiamo assistito l’utenza sulle problematiche relative al codice ATECO, un sistema di codificazione dell’attività svolta dall’impresa che abbiamo sentito più volte ricordare nei giorni ‘caldi’ e che, in base a quanto disposto dall’apposito DPCM, identificava le imprese per le quali era consentita o meno la prosecuzione dell’attività – sottolinea il presidente Riccardo Breda -. Le informazioni relative al codice ATECO estratte dalla banca dati Infocamere sul nostro territorio sono state poi elaborate dal nostro Centro Studi, arricchendo il periodico report sull’andamento trimestrale della dinamica delle imprese con un importante contesto numerico di riferimento, utile per meglio comprendere l’intensità dell’inatteso e pesante blocco di attività che ha colpito il tessuto imprenditoriale nel corso della ‘fase 1′”.
Le cellule produttive cui è stato consentito di proseguire la propria attività economica durante la fase di lockdown ammontano a quasi 41 mila, per circa 110 mila addetti; a fronte delle oltre 77 mila (con 170 mila lavoratori) che costituiscono il totale delle iscritte al Registro della CCIAA Maremma e Tirreno. Oltre 36mila sono pertanto le imprese cui è stato imposto il fermo dell’attività, per oltre 60 mila addetti, ben 20 mila dei quali operano nel solo settore “alloggio e ristorazione”.
Il primario è il macrosettore sicuramente meno coinvolto dal periodo di forzata inattività, visto che quasi il 98% delle imprese (96% degli addetti) ha potuto continuare, in linea teorica, nel proprio lavoro. La percentuale relativa alle imprese si riduce a meno di due terzi del totale per il macrosettore secondario (estrattivo, manifatturiero e fornitura utenze varie), per continuare a scendere significativamente a poco più della metà per il terziario (commercio e servizi) e circa un terzo per le costruzioni.
Data la notevole differenza che intercorre in termini di addetti medi per impresa tra macrosettori, le incidenze calcolate per gli addetti non seguono in maniera pedissequa quelle delle imprese. Infatti, hanno continuato a lavorare grosso modo poco meno dei due terzi degli addetti del secondario e del terziario e la metà di quelli delle costruzioni. Nello specifico, è stato consentita l’attività di circa un quarto delle imprese del commercio all’ingrosso (43% in termini di addetti) ed oltre la metà di quelle al dettaglio (70% addetti), si è dimezzato il manifatturiero locale (56% imprese e stessa percentuale addetti) e si è quasi azzerata l’attività di alloggio e ristorazione (10% imprese, 20% addetti). Si rileva la totale (o quasi) fermata del settore estrattivo, delle attività immobiliari e delle attività artistiche, sportive, di intrattenimento o divertimento.
Per quanto riguarda invece l’analisi del movimento anagrafico delle imprese nel trimestre gennaio-marzo 2020, si rileva che questo risente solo parzialmente della situazione critica descritta sopra, vuoi perché interessa solo in parte il periodo di chiusura forzata (una ventina di giorni sui novanta del trimestre) e vuoi perché le dinamiche connesse al registro delle imprese hanno un andamento che sconta un “ritardo fisiologico” rispetto alla situazione dell’economia reale. Anche se la demografia d’impresa è uno strumento di per sé poco adatto a misurare rapidamente la “febbre” della realtà territoriale che va ad indagare, ciononostante nella fattispecie emergono chiare alcune criticità riconducibili anche all’emergenza epidemiologica.
Al 31 marzo 2020, le sedi registrate ammontano a 61.678, numero che, in ottica tendenziale, certifica un ammanco di 150 unità, -0,2% in termini relativi. Tale diminuzione è solo in parte dovuta alle conseguenze dalla pandemia: il tessuto economico locale aveva già da qualche trimestre assunto un orientamento in tal senso. Possiamo semmai affermare che la situazione d’emergenza ha contribuito a tale tendenza, osservando l’andamento delle sedi d’impresa inattive, che nel trimestre in esame sono aumentate del 2,4% in ragione d’anno, ossia più di quanto abbiano fatto nel primo trimestre dei tre anni precedenti.
Nel periodo in esame si sono iscritte 1.120 nuove imprese (615 a Livorno e 505 a Grosseto) e, al contempo, sono state cancellate 1.360 posizioni (rispettivamente, 775 e 585). Il saldo è dunque stato negativo per 240 unità (-160 Livorno e -80 Grosseto), contro le -227 del primo trimestre 2019. A livello tendenziale, le iscrizioni mostrano un forte arretramento, primo vero segnale delle conseguenze dello stop forzato: chi, soprattutto nel mese di marzo, aveva intenzione di creare una nuova impresa, data la situazione ha ovviamente preferito attendere. Il numero di iscrizioni si pone ampiamente come il più basso dal 2009 ad oggi. A mitigare questa situazione c’è il fatto che anche le cessazioni risultano in forte calo tendenziale, fenomeno peraltro non riconducibile al lockdown, considerato che la comunicazione di cessazione attività al Registro Imprese può essere effettuata, ormai da oltre 10 anni, in esclusiva via telematica. Si può comunque affermare che proprio tale andamento ha contribuito a mantenere il saldo tra entrate ed uscite su un livello che rientra ampiamente nella normalità.