“Due miliardi di tasse in più al mese, rispetto all’anno 2011, sulle spalle degli italiani”: a dimostrarlo una ricerca condotta da CNA nazionale che conferma quanto denunciato in sede locale sugli effetti del prelievo fiscale in generale e di quello locale in particolare (l’Imu, al fronte della promessa invarianza di gettito, ha raddoppiato il prelievo dell’Ici e la Tares quello della Tarsu).
“Un vero e proprio salasso è stato operato sulle imprese italiane grazie ad un’imposizione fiscale che, incurante della crisi, ‘morde’ con sempre maggiore ferocia – commenta Renzo Alessandri, direttore di Cna Grosseto- .
Il fisco italiano è l’unica impresa che non soffre la crisi; i suoi conti vanno a gonfie vele: rispetto al 2011, infatti, incassa quasi due miliardi di euro in più al mese.
Ma com’è possibile che i contribuenti italiani siano stati chiamati a versare 24 miliardi in più all’anno nelle casse pubbliche, centrali e locali, a dispetto del prodotto interno lordo in costante arretramento?
La risposta la offre una ricerca del Centro Studi della CNA dedicata alle ‘Entrate erariali e locali che incidono sulla pressione fiscale’.
L’annus horribilis per i contribuenti italiani è stato il 2012, quando (complice la riduzione del Pil) la pressione fiscale è balzata dal 42,8 al 44,3% (nel 2013, “fortunatamente” il fisco si è “limitato” a confermare le entrate e anche la pressione fiscale, dell’anno precedente).
Nel 2012 la crescita del gettito è stata determinata per 12,4 miliardi dalle imposte indirette e per 11,1 miliardi da quelle dirette (in questo computo rientra anche la trasformazione delle “una tantum” in “una semper”).
Nell’arco di dodici mesi, in altre parole, è avvenuto uno spostamento di circa 5,5 miliardi dalle entrate tributarie straordinarie (sostenute, per la maggior parte, da quanti hanno scelto di beneficiare di sanatorie, condoni e particolari agevolazioni fiscali) alle entrate strutturali a carico di tutti i contribuenti e, in particolare, delle imprese.
La responsabilità principale dell’aumento della tassazione va addebitata alla trasformazione dell’Ici in Imu: la nuova imposta sugli immobili (che ha colpito selvaggiamente capannoni, laboratori, negozi, gli immobili strumentali insomma, quelli che creano lavoro e ricchezza diffusa) è costata ai contribuenti intorno ai 14 miliardi. Per effetto della doppia competenza comuni/erario, le maggiori entrate derivate dall’Imu sono state pari a circa 6 miliardi per i comuni e ad 8 per l’erario.
L’impennata del 24% dell’imposta di fabbricazione sui carburanti ha permesso al fisco di introitare maggiori entrate per 5 miliardi: maggiori entrate non certo dovute alla crescita dei consumi che anzi si sono ridotti (dopo i beni di consumo, gli alimentari e l’elettronica è in caduta libera anche il consumo dei medicinali) ma proprio all’exploit della tassazione.
Auguriamoci che sia finita – conclude Alessandri– , ma le ultime notizie non sono certo confortanti.
Complice la Tasi, si tornerà a pagare (anche se sotto mentite spoglie), l’Imu sulla prima casa; l’aliquota massima iniziale fissata al 2,5 per mille è già salita (dello 0,8) attestandosi al 3,3 per mille.
L’eventuale aumento, così viene assicurato, è nella facoltà dei sindaci, servirà a finanziare le detrazioni destinate alla prima casa ed a garantire l’invarianza del prelievo rispetto all’anno precedente.
Che dire, i comuni devono deliberare entro il 30 aprile e di conseguenza tutto è ancora da decidere.
Certo non staremo a guardare e l’invarianza del prelievo, visti i precedenti, la vorremo ‘toccare con mano’.
Nel frattempo, fatti due conti, si può dire che per i negozi ed i capannoni (già soggetti all’Imu), l’introduzione della Tasi comporterà un prelievo aggiuntivo (in tutta Italia) di circa un miliardo in più”.