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Il grande fotoreporter Mario Dondero sarà presente martedì 30 settembre al finissage della mostra su Bianciardi, ospitata al Cedav in occasione della Città Visibile 2014, la manifestazione firmata da Fondazione Grosseto Cultura, dal titolo “Luciano Bianciardi, i luoghi, il tempo” e curata da Massimiliano Tursi e dalla Fondazione Luciano Bianciardi.
Mario Dondero, amico di Bianciardi, è uno dei “giamaicani”, i frequentatori del bar Giamaica, insieme a Luciano, a Mulas, Cederna, Manzoni e tanti altri artisti famosi, ed è il “Mario” della “Vita agra”.
La mostra
Un omaggio fotografico intrapreso per seguire le tracce di un uomo, di uno scrittore importante, dimenticato, riscoperto e ora particolarmente attuale, attraverso i luoghi legati alla sua vita e alle sue opere caratterizzate spesso dalla forte componente autobiografica. Un itinerario guidato e ispirato proprio dai testi dello scrittore, che con uno sguardo particolarmente arguto e impietoso ha raccontato i profondi cambiamenti avvenuti nel dopoguerra nella società italiana. Un confronto tra passato e presente nel quale le suggestioni nascono dalla sinergia tra luogo della memoria, fotografia e testo. Ecco che seguendo le parole scritte da Bianciardi si parte dalla Maremma e dalla natia Grosseto, nella quale inizia il lavoro di intellettuale di provincia. Si prosegue con i paesi di minatori come Ribolla, piccolo villaggio dove morirono 43 minatori nel dopoguerra, prima di approdare a Milano, nel quartiere di Brera, per lavorare brevemente come redattore della nascitura casa editrice Feltrinelli. Nel perimetro di Brera è possibile cogliere suggestioni di luoghi oramai letterari, come l’ex sferisterio di via Palermo dove si giocava la pelota basca, il Bar Jamaica con le tenaci piastrelle bianche, ma anche la periferica via Domenichino con i palazzoni frutto del miracolo economico degli anni cinquanta e sessanta. Ma il viaggio non si interrompe nella operosa Milano e prosegue nella confinata Rapallo, in attesa di un simbolico segnale che ridia vita alla rivolta. Il progetto fotografico è composto da fotografie analogiche in bianco e nero, stampate su carta baritata con tecnica fine art di 30×40 cm e supportate da didascalie estrapolate dai testi di Luciano Bianciardi.
Dondero e Bianciardi
Così Dondero descrive il suo incontro con Luciano Bianciardi:
“Prima di scriverla comunque ‘La vita agra’ era occorso viverla. Ugo Mulas e io, sodale fraterno di quel tempo straordinario, compagno d’avventure fotografico-giornalistiche, abbiamo avuto modo di conoscere Luciano, sorta di coupe de foudre triangolare, quando ci recammo a Grosseto – mi pare che fosse nell’estate dei 1953 – per realizzare un reportage sui giurisdavidici, i seguaci di Davide Lazzaretti anche detto ‘il Cristo dell’Amiata’ o il ‘Prete rosso’. Direttore della Biblioteca Chelliana, il dottor Luciano Bianciardi ci era stato indicato come il maggior esperto in materia d’eresia giurisdavidica. Ci accolse benissimo e ci spedì a trovare il Tomencioni …
Quando Bianciardi venne chiamato a Milano, la prima porta cui bussò in cerca d’alloggio fu la nostra, semplici inquilini della pensione della signora Maria Tedeschi, la signora De Sio della ‘Vita agra’, al n. 8 della via Solferino, piena di materna comprensione per le nostre giovani esistenze…
Ricordo quando con Ugo Mulas e Carlo Bavagnoli, trasferitosi nella nostra stanza per far posto a Maria, ci addormentavamo spesso con il ticchettio nelle orecchie della macchina da scrivere di Luciano, che raggiungeva anche gli altri dormienti che erano Bepi Tavella, i pelotari baschi, i venditori dei libri a rate dell’Einaudi Uberto Guidotti e Giancarlo Bonora e Franz Saba Sardi, scrittore con la passione dell’erotismo. Luciano era un cesellatore di parole, un patito della ricerca certosina in biblioteca. Disseppelliva parole antiche e le riproponeva fresche e nuove …
Mario Dondero
Nato il 6 maggio 1928 a Milano, ma di origine genovese, Mario Dondero è fotogiornalista di professione e ha lavorato molto tempo per la stampa scritta. Ancora adolescente, partecipa durante la guerra alla Resistenza nel Nord dell’Italia. Dopo la guerra, si orienta verso un giornalismo a carattere sociale, collaborando con diversi quotidiani della stampa italiana come “L’Unità”, “L’Avanti”, “Milano Sera” o ancora la rivista “L’Ora”, che lancia lo slogan “Una fotografia vale 1000 parole”. Mario fa allora parte del gruppo detto dei “Giamaicani” a Milano, dal nome del Bar Giamaica, appuntamento di numerosi artisti e intellettuali. Si installa nel 1955 a Parigi, dove continuerà a collaborare sia con la stampa italiana (particolarmente “l’Espresso” e “Epoca”) sia con quella francese (“Le Monde”, “Le Nouvel Observateur”). La frequentazione degli ambienti intellettuali parigini conduce Mario a scattare la sua celebre fotografia degli scrittori del “Nouveau Roman” che raggruppa Alain Robbe-Grillet, Claude Simon, Claude Mauriac, Jérôme Lindon, Robert Pinget, Samuel Beckett, Nathalie Sarraute e Claude Ollier, fotografia che, secondo Alain Robbe-Grillet, ha cristallizzato l’apparizionedel movimento detto del “Nouveau Roman.” Quest’epoca segna anche gli inizi di una fruttuosa collaborazione con la giovanissima rivista “Jeune Afrique” e con altre riviste dedicate a problematiche africane, collaborazione che darà a Mario Dondero l’opportunità di conoscere profondamente quel continente. Continuerà durante gli anni a frequentarlo, cosi come altre zone del mondo, come l’America Latina, Cuba, l’Urss poi e, più recentemente, il Canada nel 2000, l’Afghanistan nel 2004 con l’associazione umanitaria Emergency e la Russia nel 2006. Continua ancora oggi la sua attività. Abita in Italia, a Fermo, nelle Marche, e viaggia regolarmente per realizzare i suoi servizi, collaborando particolarmente con il quotidiano “Repubblica”.