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CineVisioni: la recensione de Il ritorno di Mary Poppins

di Luca Ceccarelli
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In programmazione a Grosseto – The Space Cinema

Londra, 1930, nel pieno della Grande depressione. Michael Banks è ormai un uomo adulto con una famiglia tutta sua e ha accettato un impiego temporaneo presso la banca in cui lavorarono anche suo padre e suo nonno. Michael vive con i suoi tre figli Annabel, John e Georgie al numero 17 di Viale dei Ciliegi, ma sono tempi duri.

A causa della Grande depressione il denaro scarseggia; la famiglia sta tentando di superare la recente morte di Kate, la moglie di Michael, e nonostante gli sforzi della loro inefficiente ma volenterosa domestica Ellen, la casa è malmessa e in un costante stato di caos. Jane tenta di aiutare suo fratello Michael quando può, ma ha ereditato da sua madre l’entusiasmo per l’attivismo e combatte per i diritti dei lavoratori, un compito che la tiene sempre occupata. Con la dura realtà del periodo e il peso del recente lutto che gravano sulla famiglia, i bambini sono costretti ad assumere responsabilità da adulti e di conseguenza stanno crescendo troppo rapidamente.

A causa di questa situazione, la gioia e il fanciullesco senso della meraviglia sono assenti dalle loro vite. Mentre il rapporto di Michael con i suoi figli continua a peggiorare, il signor Wilkins, il direttore della banca, avvia le procedure per il pignoramento della casa dei Banks, mandando ancora più in crisi l’ormai stremato Michael.

Il ritorno di Mary Poppins, sequel del classico Mary Poppins del 1964, è l’adattamento cinematografico del libro del 1935 Mary Poppins ritorna, scritto da P. L. Travers. A dirigerlo è chiamato Rob Marshall, conosciuto principalmente, se non esclusivamente, per il musical campione d’incassi Chicago. Nel ruolo di Mary Poppins troviamo Emily Blunt, vista in Il diavolo veste Prada, The Young VictoriaLa ragazza del treno, affiancata da Lin-Manuel Miranda, esperto interprete di musical a Broadway e Ben Whishaw, visto in Skyfall, Cloud Atlas The Lobster. Non mancano parti per Meryl Streep e Colin Firth e cameo a cura di Angela Lansbury e Dick Van Dyke.

Ciò che appare evidente è l’intenzione di rinverdire i fasti dell’originale Mary Poppins oltre cinquant’anni dopo, rinnovando il personaggio ed il contesto, adeguandoli ad un gusto moderno, ammiccando contemporaneamente ai fan dell’originale. L’operazione, però, funziona solo in parte. Emily Blunt si impegna per tutto il film, ma non vale neanche lontanamente l’immensa Julie Andrews, così come gli altri due interpreti maschili, sebbene ben incastonati nella sceneggiatura, risultano eccessivi e non convincono quanto dovrebbero. Si rimpiange il Dick Van Dyke del 1964, al punto che la sua apparizione verso la fine del film crea più nostalgia che affetto.

L’operazione nostalgia è troppo smaccata, le musiche troppo mielose ed ammiccanti, la stessa Mary Poppins così incensata da diventare odiosa. Un film al servizio del suo personaggio principale, da tata a diva, con atteggiamenti di superiorità esibita che la rendono insopportabile. Il tutto così in primo piano da far dimenticare quale sia la trama principale. E peccato, perché era una buona fiaba natalizia.

La Disney ci sta abituando (e non è affatto un bene) a prodotti ruffiani, mirati a replicare il successo di prodotti classici mimandone le caratteristiche principali senza introdurre vere innovazioni. Peggio, ogni nuovo elemento diviene ridicolo agli occhi dello spettatore (in Il ritorno di Mary Poppins, le insopportabili acrobazie degli acciarini in bicicletta).
Alla fine, viene da sperare che al Ritorno di Mary Poppins segua un addio, a mai più rivederci.

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