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CineVisioni: la recensione di Collateral Beauty

di Luca Ceccarelli
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In programmazione a Grosseto – The Space Cinema

Che cosa è la “bellezza collaterale”, traduzione letterale del titolo di questo film? Con questo termine si intendono gli atti di gentilezza disinteressata che derivano dalle tragedie.

Si parte da qui: il dirigente pubblicitario Howard Inlet (Will Smith) è in preda ad una forte depressione dopo la morte tragica della sua giovane figlia. I suoi partner commerciali, Whit Yardsham (Edward Norton), Claire Wilson (Kate Winslet), e Simon Scott (Michael Peña) temono per la salute mentale di Howard così come il futuro della loro azienda, legata a doppio filo alla figura di Howard.

I tre assumono un investigatore privato, Sally Price (Ann Dowd), per dimostrare che Howard è inadatto a gestire la società, permettendo loro di prenderne il controllo e venderla contro la sua volontà. Sally intercetta una lettera di Howard diretta ai concetti astratti di Amore, Tempo e Morte, e li presenta a Whit, Claire e Simon. Questi assumono tre attori – Aimee (Keira Knightley), Raffi (Jacob Latimore) e Brigitte (Helen Mirren) – che incontreranno Howard spacciandosi appunto per Amore, Tempo e Morte. Sally registrerà questi incontri e poi cancellerà digitalmente le sagome di Aimee, Raffi e Brigitte per far apparire Howard mentalmente squilibrato, permettendo ai soci di vendere la società.

Scopriremo che anche Whit,Claire e Simon hanno problemi personali e l’interazione con gli attori li porterà ad affrontarli. Inoltre Howard avrà un incontro importante che lo accompagnerà in un percorso di condivisione e di crescita, alla scoperta della Collateral Beauty.

Due sono le cose che risaltano immediatamente in Collateral Beauty: il cast stellare e l’accento marcato sui sentimenti, in particolare sul dolore.

Gli attori sono bravi e sfruttano il proprio indiscusso talento per caratterizzare i propri personaggi. Il loro sforzo, però, è vanificato da una sceneggiatura che punta sul dolore così tanto da mercificarlo, in un’operazione che si potrebbe definire di sciacallaggio sentimentale. Infatti, nel corso del film, più che per empatia si finisce per commuoverci per le continue ondate di dolore e sofferenza che ci vengono propinate.

Un’operazione che non funziona, poiché, mentre i minuti scorrono (e per fortuna sono solo poco più di 90), si sviluppa un’assuefazione alla sofferenza che conduce ben presto alla noia. Non riesce neanche il finale a sorpresa, che invece risulta piuttosto scontato.

Anche la regia pare svogliata e senza guizzi, mentre la fotografia non ci regala ciò che potrebbe offrirci una New York natalizia, scegliendo piuttosto di risultare sempre sopra le righe, con punte di sfacciataggine onestamente insopportabile.

Una grande occasione sprecata, una maggiore attenzione ai sentimenti senza lo scadere nel sentimentalismo poteva, stavolta, regalarci un buon film.

 

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