“Cinque anni prima della risoluzione dell’Assemblea dell’Onu del primo novembre 2005, il Parlamento italiano aveva istituito la Giornata della Memoria, con legge 20 luglio 2000 n.211. Art 1 e 2 :
‘La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
. . . in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.»
L’articolato della Legge richiama giustamente anche le responsabilità del regime fascista nella persecuzione degli italiani ebrei e il suo determinate contributo nell’invio di molti di questi ai forni crematori”.
A dichiararlo, in un comunicato, è la Rete delle donne di Grosseto.
“La memoria scade in pura celebrazione se da questa non si impara – continua la nota -. Dobbiamo ricordare il consenso di popolo alle leggi razziali fasciste del 1938, l’indifferenza diffusa davanti agli italiani ebrei prima emarginati, marchiati come nemici e poi inviati ai campi di sterminio dai fascisti. Pur nel mutare dei mezzi e dei modi della comunicazione/propaganda, non possiamo non vedere l’analogia con le attuali campagne leghiste, e non solo, contro ‘il nero’, ‘l’immigrato’, ‘lo straniero’, ‘il diverso’. La paura verso un futuro incerto, determinato da politiche nazionali e internazionali che hanno protetto gli interessi del capitale, ma non i diritti e le condizioni di vita delle popolazioni, viene canalizzata verso un ‘nemico esterno’, deumanizzato. Passata la giusta emozione davanti alla foto del corpicino del bambino annegato, ormai, i disperati che cercano una possibilità di vita, lontano dal loro Paese e a costo di sofferenze inaudite, sono solo numeri di sopravvissuti o di morti, una fastidiosa presenza nei telegiornali all’ora dei pasti“.
“La loro tragedia viene cinicamente giocata sul tavolo delle trattative, poco convinte ed efficaci, con una Europa altrettanto sorda ai loro destini – sottolinea la Rete delle donne -. Quello che ci fa veramente paura è constatare l’acquiescenza acritica con cui certi messaggi vengono fatti propri da molte persone, talvolta più vicine ai problemi di vita di chi fugge da un destino di miseria che a quelli di politicanti e pennivendoli xenofobi. Ci fa paura il tentativo di privarci della nostra umanità, della capacità di mettersi nei panni degli altri, di riconoscere le sofferenze, di spendersi per un ‘altro’ che è lo specchio di noi stessi. Ci indigna che venga strumentalizzato il dramma della violenza maschile sulle donne in chiave xenofoba, solo quando il violentatore è straniero si alzano alti lai, tutto tace quando, come nella maggior parte dei casi, il violento è italiano“.
“Offende la nostra intelligenza che l’unica risposta alla violenza sulle donne, così come a qualsiasi problema di convivenza civile, sia il ricorso all’esercito, alle forze armate,in una logica securitaria, sterile e violenta insieme, che esacerba i problemi e non li risolve – termina il comunicato –. ‘L’obbedienza non è una virtù’, ricordava Don Milani, e nemmeno la rinuncia ad un pensiero critico, sessuato, aperto alle differenze“.