Nessun tabulato, nessun prova del traffico telefonico né dell’autorizzazione all’addebito, eppure per 3 anni, dal 2012 al 2014, una compagnia telefonica ha continuato ad addebitare sul conto di un grossetano somme relative a un numero di telefono che l’utente aveva, peraltro, disconosciuto.
Dopo il silenzio della compagnia alle richieste del cliente, il Giudice di Pace di Grosseto ha finalmente fatto chiarezza, condannando la compagnia a rimborsare al cliente oltre 1500 euro più gli interessi e le spese legali.
La vicenda
Un cittadino di Grosseto si era reso conto che erano state periodicamente addebitate sul suo conto corrente diverse fatture emesse dal gestore e regolarmente pagate per complessivi 1.556,17 euro. Insospettito dall’importo consistente, si era rivolto a Confconsumatori e, tramite l’associazione, aveva contattato il gestore telefonico chiedendo delucidazioni.
“Quest’ultimo non solo non aveva risposto alle numerose richieste scritte, ma non si era neppure presentato dinanzi alla Camera Arbitrale della Camera di Commercio per il tentativo di conciliazione prescritto dalla legge – si legge in un comunicato di Confconsumatori Grosseto -. Visto l’ammontare della somma prelevata, il consumatore aveva così deciso di ricorrere alla causa: recentemente il Giudice di Pace di Grosseto, Adriano Simonetti, ha quindi confermato l’illegittimità delle fatture disponendo che la compagnia telefonica restituisca tutti gli addebiti maggiorati di interessi legali”.
“Nel corso del processo civile – spiega ancora Confconsumatori Grosseto – è emerso infatti che, in realtà, la compagnia aveva un’autorizzazione a prelevare importi su carta di credito, ma l’utente aveva disconosciuto l’utilizzo del numero associato. Non avendo la società telefonica provato l’invio di fattura o conti telefonici e non avendo provato il traffico che aveva originato gli addebiti, resistendo alla richiesta di depositare i più volte richiesti tabulati telefonici”.
Il giudice ha statuito il principio, che, in mancanza di prova che deve offrire la società telefonica, questa è tenuta alla restituzione per indebito incasso di tutte le somme prelevate: «Non sussiste – si legge nella sentenza – prova documentale del richiesto traffico telefonico […] né dell’autorizzazione fornita ad addebitare sulla carta gli importi relativi a tale presunto traffico».
Inoltre, considerato che la società telefonica si era sottratta al tentativo di conciliazione, è stata condannata al pagamento delle spese processuali per oltre 2.000 euro.