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“Il mondo agricolo è al tracollo. Se non si attuano immediati interventi, esiste il rischio concreto che il 35% delle aziende agricole maremmane oggi presenti chiudano entro la fine dell’anno.”
Confagricoltura Grosseto ha spiegato questo in una conferenza stampa nel corso della quale, alla presenza del presidente Attilio Tocchi e del direttore Paolo Rossi, ha illustrato quali contromisure da adottare per ottenere in primis un effetto benefico immediato per allontanare le chiusure, ma ha anche dettagliato il cambiamento di approccio e di programmazione che deve riguardare l’intero settore.
Povertà della popolazione
La disamina di Confagricoltura Grosseto è partita da un’analisi approfondita della condizione di contesto, entro le quali si sta muovendo questa crisi, protoenergetica. Un primo elemento che deve essere opportunamente analizzato è l’aumento della povertà. La povertà in Italia continua a crescere. L’ultimo rapporto Istat mostra come dal 2009 al 2019 si sia subito un forte peggioramento. Il numero delle famiglie povere rispetto alle famiglie totali è aumentato complessivamente del 60% e il peggioramento si è sentito maggiormente al nord e al centro, visto che al sud il numero assoluto delle famiglie povere era già molto elevato anche dieci anni fa. Ossia al sud siamo passati da 505 a 706 mila famiglie, mentre al centro la variazione è stata da 107 a 242mila con un aumento del 126% ed una incidenza di povertà da 2,3% al 4,5%. Quindi povertà assoluta e relativa sono cresciute molto più al nord e al centro rispetto al meridione e che nell’ultimo anno gli indici di povertà continuano a crescere, con un rotondo +30%. Complessivamente i nuovi poveri (relativi e assoluti) sarebbero poco più di 4 milioni per 1,4 milioni di famiglie; le nuove persone in condizione di povertà assoluta sarebbero 1,4 milioni, corrispondenti a 500mila famiglie.
Aumento dei costi delle materie prime
Continuando a muoversi nel contesto all’interno del quale andare a leggere la crisi, spicca l’aumento dei costi delle materie prime con le quali si deve confrontare l’imprenditore agricolo. La diffusione della pandemia, le conseguenti chiusure totali o parziali delle attività economiche e la successiva ripartenza a rilento, nel lungo periodo, hanno determinato un aumento considerevole dei costi di produzione per l’agricoltura. Il settore primario, fortemente dipendente dal petrolio, sta maggiormente risentendo degli aumenti, con un incremento dei costi di produzione dell’8,7%. I soli prodotti energetici hanno subito un aumento complessivo del 27,6% (il gas metano, fatturato a 0,18 euro al metro cubo è arrivato a 1,20, +600%, il gasolio agricolo in dodici mesi è lievitato da 0,6 euro al litro a 0,8 al litro). Il costo dei fertilizzanti è esploso. Quelli azotati nell’ultimo anno sono aumentati del 290%. Un quintale di urea un anno fa costava 30 euro, mentre oggi supera i 95. Stesso discorso per le sementi ed i mangimi con il seme di grano duro passato da 64 euro al quintale ad 85, il favino che è asceso da 50 euro a 80 euro al quintale, il mais da 19 euro a 28 al quintale e la soia, che in due anni è passata da 35 euro al quintale agli attuali 60 euro al quintale. L’aumento delle materie prime energetiche si è ripercosso indistintamente sui costi di produzione delle coltivazioni e su quelli degli allevamenti, rispettivamente con un +9,2% per i primi e l’8,1% per i secondi nei soli mesi di agosto e settembre. Un aumento è stato registrato anche nei prezzi al consumo, ma più contenuto rispetto a quello dei prezzi di produzione (solo +1,3%). Si è dunque venuta a creare una situazione che suscita forte preoccupazione e che potrebbe avere impatto anche sulla dimensione dei prossimi raccolti. A questo scopo gli agricoltori stanno infatti valutando il rinvio delle semine e la revisione delle consolidate rotazioni culturali.
Diminuzione della superficie agricola
La superficie agricola negli ultimi anni continua con preoccupazione ad assottigliarsi. Il consumo di suolo dovuto a costruzioni residenziali e produttive, a vie di comunicazione ogni anno in Italia è di poco più di 5.000 ettari. Un dato certamente ben lontano dai 20mila ettari annui registrati nei decenni dal 1956 al 2006. Il fenomeno interessa in valori assoluti le regioni più estese e popolose, ma colpisce soprattutto le regioni più piccole e meno abitate. Infine, il valore della produzione agro-silvicola, per effetto del solo consumo di suolo verificatosi nel periodo 2012-2020, ha registrato, secondo le stime dell’Ispra, una riduzione annua di 208milioni di euro. Quello sul consumo di suolo è un fenomeno su cui l’attenzione deve restare alta e di cui occorre tenere conto nelle politiche di governo degli insediamenti del territorio (residenziali, produttivi, di comunicazione e molti altri).
Lo scenario internazionale
A fronte di uno scenario nazionale fortemente penalizzante, non vi è meno difficoltà per quanto riguarda lo scacchiere internazionale, dove dal 2014 vige un blocco alle importazioni imposto dalla Russia ai prodotti agroalimentari italiani. Un provvedimento assunto in risposta alle misure restrittive conseguenti alla “crisi Ucraina” che doveva inizialmente durare un anno e che invece è tuttora vigente. Le conseguenze economiche per l’Italia sono state molto pesanti. Infatti, se nel 2013 il valore delle esportazioni verso la Russia si aggirava sui 705 milioni di euro, ad oggi è stimato in 549 milioni di euro (-22%). I settori più colpiti sono stati quelli della frutta, delle carni, degli ortaggi, del latte e dei suoi derivati. La perdita economica complessiva stimata dal 2013 ad oggi è di 1,3 miliardi di euro, ma, se tenessimo conto della tendenza registrata fino al 2013, tale cifra sarebbe ben più alta e tale da sfiorare i 4 miliardi di euro.
Lo spreco alimentare
Una delle piaghe del nostro tempo e tra i fenomeni più dequalificanti e odiosi per un paese evoluto come l’Italia è senza dubbio lo spreco alimentare, che si attesta su 27 chili di cibo a persona. Questo significa che vale a dire 3,6 milioni di tonnellate all’anno di cibo vengono sprecate e con esse circa 10 miliardi di euro. In questo quadro le imprese agricole possono svolgere un ruolo fondamentale nella lotta agli spechi alimentari e nella loro prevenzione. L’agricoltura per sua conformazione genetica non spreca, perché usa il concetto del recupero e del riutilizzo e della creazione di sistemi diffusi di economia circolare.
Come agire per evitare la chiusura delle aziende?
Lo scenario è dunque molto complicato e complesso per tutte le componenti della filiera agroalimentare. Confagricoltura ritiene che si debba adottare una strategia da declinare su due piani: uno a breve ed uno a lungo termine.
“A breve termine auspichiamo azioni di sostegno economico immediato alla produzione – spiegano i dirigenti grossetani dell’associazione -, impedendo che le aziende entrino nel gorgo dell’indebitamento, del quale ne risentirebbe oltre al comparto, anche tutto l’indotto collegato. Per questo chiediamo interventi immediati per stabilizzare i costi energetici al fine di evitare l’abbandono produttivo, riducendo la disponibilità dell’offerta. Non si può continuare a penalizzare esclusivamente il settore della produzione primaria, per evitare di far crescere la dipendenza dall’estero e peggiorare i conti della bilancia commerciale del Paese. Deve essere costruito un tavolo con le industrie di trasformazione e quelle delle distribuzione per discutere su come gestire questa difficile fase e valutare le misure di interesse comune da chiedere al Governo. A lungo termine l’azione dovrebbe essere più strutturata e offrire finalmente una strategia di respiro, con la quale procedere alla riorganizzazione della filiera”.
“Se la popolazione diminuisce, la povertà aumenta come i costi di produzione, mentre le esportazioni verso Paesi come la Russia crollano, non si può continuare a produrre indiscriminatamente. Devono essere previsti tetti produttivi, così da avere minori spese e immettere sul mercato il quantitativo realmente necessario, contraendo gli sprechi – prosegue Confagricoltura -. Serve una nuova stagione di educazione alimentare che promuova stili di vita e consumi alimentari più sani e consapevoli e la creazione di un modello che minimizzi gli sprechi nel corso dei processi di produzione, trasformazione e distribuzione. Auspichiamo collaborazione e dialogo tra le filiere direttamente impegnate nel processo produttivo, le organizzazioni di rappresentanza, le istituzioni, ma anche le scuole, le università, il mondo della ricerca e non ultimo il terzo settore”.
“Il tema dell’energia è e sarà sempre più centrale. Il settore primario ne consuma tanta e per questa ragione il repentino aumento dei costi degli ultimi mesi sta impattando fortemente sul comparto. Visto che l’agricoltura si trova oggi stretta in una morsa, con i costi energetici alle stelle da una parte e la transizione green dall’altra, spinta dall’Europa, ma la cui attuazione è complicata. E’ evidente che gli agricoltori possono dare un apporto fondamentale nella diversificazione delle fonti energetiche, essendo anche produttori di energia rinnovabile, nell’ottica di un’economia circolare e sostenibile – termina l’associazione agricola -. Pertanto sono necessari meno veti e più programmazione per andare avanti con il biometano, l’agrivoltaico e il carbon farming”.