Gessi rossi a Pietratonda? No, grazie. Stavolta a manifestare un diniego netto alla possibilità di utilizzare gli scarti della lavorazione del biossido di titanio prodotto dalla Tioxide come materiale da impiegare per il ripristino ambientale dell’invaso generato della cava di caolino nel comune di Campagnatico, sono le associazioni del mondo agricolo.
Confagricoltura, Cia e Coldiretti sono decise e ferme nel mostrare una contrarietà totale a questa eventualità, in primo luogo per le forti ricadute che una tale decisione potrebbe avere sull’ambiente e quindi sulla agricoltura, settore strategico per l’economia maremmana.
“La nostra posizione – spiegano – non nasce da preconcetti o da posizioni ostruzionistiche nei confronti della attività industriale, di cui la Tioxide è una delle espressioni più importanti a livello provinciale. Sappiamo come questo stabilimento rappresenti anche una risorsa occupazionale per molte persone, ma dobbiamo essere altrettanto franchi nel ribadire che non si può mettere a rischio il lavoro di centinaia di aziende agricole e di migliaia di lavoratori tra diretti e indiretti, solo perché non si riesce a trovare una collocazione idonea a questo prodotto della lavorazione del biossido di titanio”.
Le tre associazioni, espressioni del mondo agricolo, spiegano punto per punto le ragioni del loro convincimento. “In tempi non sospetti – circostanziano Attilio Tocchi per Confagricoltura Grosseto, Claudio Capecchi per Cia Grosseto e Pietro Greco per Coldiretti Grosseto – la Tioxide dichiarava, nell’accordo volontario per l’impiego dei gessi rossi in attività di ripristino ambientale, che ‘l’utilizzo deve avvenire in condizioni accettabili per l’ambiente e la salute e deve essere accompagnato da adeguate misure di controllo ambientale al fine di garantire la compatibilità ambientale dell’utilizzo e prevenire rischi per la tutela della salute e dell’ambiente. Condizioni che devono essere preventivamente verificate e accertate da apposite indagini’. Non solo. Sempre Tioxide nel 2005, sottoscriveva anche un accordo in cui emergeva che, dalle analisi di laboratorio compiute da Arpat, ‘il gesso rosso produceva un eluato acquoso contenente manganese in concentrazioni significative’ e proseguiva con la dichiarazione nell’inchiesta pubblica in sede di Via, che ‘il gesso rosso rappresenta, se sottoposto a fenomeni di eluizione, un pericolo potenziale di contaminazione dei corpi idrici superficiali e delle acque sotterranee utilizzate a scopo potabile a seguito della formazione di solfati, manganese e cloruri’.”
Nel caso specifico di Pietratonda i pareri di Arpat e del Genio Civile sono molto chiari e sostengono testualmente che “il sito ha trovato un proprio equilibrio ambientale e sviluppato una vegetazione significativa tanto che l’area può definirsi già recuperata, sicuramente da un punto di vista paesaggistico”, mentre la relazione geologica ribadisce come “sul fondo del lago dell’Incrociata vi è la presenza di un corpo di calcaree cavernoso, tipico degli ambienti carsici, molto permeabile, da rappresentare un acquifero di importanza strategica per l’approvvigionamento idrico della pianura grossetana”.
“Questo significa – spiegano le associazioni – che per Arpat il ripristino risulta dunque ‘particolarmente rischioso, in quanto il materiale sarebbe a diretto contatto con depositi semi permeabili o a contatto con una formazione geologica ad elevata permeabilità che determina l’acquifero principale della intera pianura grossetana, importante per la qualità delle acque e per la sua strategicità’. Proprio in base a questa vulnerabilità e condizioni, il Genio Civile della Toscana del Sud sostiene che ‘non si possono escludere impatti dovuti alla realizzazione della discarica sul suddetto corpo idrico‘”.
Il rischio concreto è dunque quello di innescare una vera e propria bomba ecologica e ambientale, come sarebbe accaduto per la cava della Bartolina, se non fosse sopraggiunto un vittorioso ricorso al Tar della Toscana.
“Non vogliamo usare parole forti – sostengono – ma, se l’inquinamento causato dai gessi rossi raggiungesse la pianura grossetana e l’Ombrone, sarebbe plausibile parlare di disastro ambientale. Se ciò accadesse pregiudicheremo la nostra vocazione agricola che ha fatto dell’ambiente uno dei sui capisaldi. Debilitando il territorio renderemo asfittiche le produzioni di eccellenza, con il rischio di rovinare la nostra economia e la nostra immagine”.
Cosa fare? “E’ giusto che si salvaguardi l’economia che Tioxide esprime – continuano Confagricoltura, Cia e Coldiretti – e che sia trovato un luogo idoneo al contenimento dei fanghi. Sarebbe quanto mai necessario che fosse la Regione Toscana ad individuare puntualmente le aree idonee per lo stoccaggio, tenendo conto delle peculiarità geologiche e ambientali dei luoghi e delle vocazioni territoriali, altrimenti ogni cinque anni ci troveremo a questuare porzioni o spazi di territorio ove collocare questi residui“.
“Auspichiamo altresì – concludono – che la Tioxide, come lei stessa aveva dichiarato nell’accordo volontario del 2015 sottoscritto con gli enti pubblici, si sia impegnata ad individuare tutte le iniziative finalizzate al riutilizzo e all’individuazione di possibili soluzioni per la riduzione dei gessi provenienti dal proprio ciclo produttivo. Il rischio è quello di trasformare l’incontaminata Maremma in un deposito diffuso, mettendone a rischio l’agricoltura e l’ambiente, le sue principali risorse economiche”.