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Confagricoltura dice no al Piano paesaggistico regionale: “Distrugge l’acquacoltura e l’itticoltura”

di Redazione
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Il piano paesaggistico regionale rischia di distruggere una porzione importante del tessuto agricolo rappresentata dagli impianti di acquacoltura e itticoltura di Orbetello e della Diaccia Botrona. Non possiamo permette che il Pit entri nel merito dell’attività agricola, ma si limiti ad individuare le aree agricole, senza avere la pretesa di insegnare agli agricoltori come difendere l’ambiente e il loro secolare mestiere”.

Sono parole dure quelle che usa il presidente di Confagricoltura Grosseto, Antonfrancesco Vivarelli Colonna, in direzione del Piano paesaggistico adottato nel luglio scorso dal Consiglio regionale della Toscana e poi pubblicato. Fino al 29 settembre è attesa la fase della raccolta delle osservazioni, ma quanto elaborato a Firenze non piace proprio al presidente Vivarelli.

In particolare – si legge nel pianovanno tutelati gli elevati valori naturalistici e migliorare lo stato di conservazione del sistema delle aree umide delle depressioni retrodunali ponendo attenzione ai Paduli della Diaccia Botrona, della Trappola e di Pian d’Alma, evitando nelle aree adiacenti le zone umide i processi di intensificazione delle attività agricole che comportano la riduzione della rete di infrastrutturazione ecologica e paesaggistica e l’intenso utilizzo delle risorse idriche e gli apporti inquinanti riducendo gli impatti legati agli impianti di acquacoltura, con particolare riferimento alla Diaccia Botrona, come pure relativamente alla fascia sud, alla riduzione degli impatti legati agli impianti di itticoltura attorno alla laguna di Orbetello, il miglioramento della compatibilità ecologica dell’attività di pesca, in particolare per le semine e per la gestione delle acque di ingresso al mare”.

Premetto che noi agricoltori siamo i primi a considerare l’ambiente e il territorio come una risorsa e non come un orpello – sottolinea Vivarelli Colonna -. Non vorrei mai che dietro tutto questo ci fosse il chiaro intento di far chiudere definitivamente un settore che rappresenta una risorsa come quella dell’acquacoltura e dell’itticoltura o come quello agricolo di Pian d’Alma a vantaggio di una presunta tutela ambientale. Dubbi leciti visto che il piano mostra un’insensata volontà di condizionare lo sviluppo agricolo aggiunto alla idea di conseguire l’irreale mantenimento di un’agricoltura del passato basata su modelli sorpassati e non più attuabili. In Regione si vorrebbe pianificare l’attività agricola basandosi su parametri estetici, invece di richiedere e di favorire una agricoltura dinamica, produttiva di reddito e competitiva, capace di creare occupazione e che contribuisca alla salvaguardia e alla tutela del paesaggio e dell’ambiente”.

Vivarelli si sofferma poi sulle contraddizioni evidenti che si palesano nel piano, visto che quanto elaborato contrasterebbe con il Codice del paesaggio, che all’articolo 149 esclude le attività agropastorali proprio dalla disciplina paesaggistica.

Siamo pronti a dare battaglia senza quartiere – aggiunge il presidente di Confagricoltura Grossetoper riportare il Piano nei limiti del Codice. Se si vuole, come sempre la politica e i nostri amministratori asseriscono, puntare sull’agricoltura come valore esenziale per il paesaggio, non si può pianificare i paesaggi seguendo logiche estetiche, perché queste hanno poco a che spartire con le vita di tutti i giorni delle aziende agricole. Ci sono alcune schede del Piano che rasentano la follia, nel giudicare le attività dell’acquacoltura e dell’itticoltura come minaccia per l’ambiente. Credo che i nostri amministratori si siano ispirati alla famosa tecnica della mummificazione, in voga nell’antico Egitto, a cui intendono sottoporre anche l’agricoltura”.

Cari signori – tuona Vivarelliquesto non lo permetteremo mai. Non saremo muti spettatori di fronte alla distruzione del settore primario in nome dell’ambiente, la cui vera minaccia proviene da norme assurde che vanno a incidere sul paesaggio che perderà i suoi connotati in conseguenza dell’abbandono forzato di ampie aree una volta dedite alla agricoltura”.

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